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Alla fine diventi involontariamente il rappresentante di una categoria che ti appiccicano gli altri. Non mi piace che qualcuno possa liquidarmi con un aggettivo e due parole in croce su un giornale, è una cosa che mi ha sempre disturbata. La violenza è questa: descriverti come icona di una categoria. A prescindere dalla categoria, intendiamoci. La lolita di "Non è la Rai", poi quella dei prezzemolini tivù, poi le deficienti che si riciclano, poi quella che piace agli intellettuali, poi quella che ora è tornata figa perché fa i film con Ferzan Ozpetek, che è brava perché è madre. Sono tutte risposte del cazzo: non sono una brava donna perché ho due figli, se lo sono è per altri motivi. Le categorie sono poche per quello che sei e troppe quando frullano tutte insieme.
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Dare delle assassine alle donne che abortiscono, è una cosa che mi lascia indifferente, è come quando a una che fa carriera si dice troia. Non mi sento ferita, è solo una violenza verbale che non porta da nessuna parte. Mi fa più paura il tornare indietro da una legge giusta, come mi fa paura non riconoscere le pratiche omosessuali, o non riuscire a risolvere le problematiche dell'immigrazione. L'integralismo è questo: non scendere mai in mezzo agli esseri umani. Ho capito che parli di Dio, ma lui c'è sceso, si è reso conto. Se mi dici le cose solo dall'alto, io ti rispondo: "Ehi, ma quaggiù le cose sono diverse."
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Il rotocalco ti parla del reality e subito dopo dell'immigrazione, che non è proprio la stessa cosa. Il minuto prima sto pensando di eliminare tizio dall'"Isola dei famosi" e il minuto dopo di eliminare il campo nomadi da una città. In mezzo ci deve passare un ragionamento, che invece non c'è.
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All'inizio della mia carriera sono stata molto aiutata da Boncompagni, dalla sua traduzione, il suo disincanto, il suo cinismo sulla televisione. Lui diceva sempre: "Ma lo sai che noi non facciamo niente, questo è niente, e se no che facevi, lo struscio in via del Corso? In fondo non è andata male", diceva. "Fai questa cosa, hai degli orari da rispettare, cominci a capire com'è la vita, ma non ci credere mai, che è l'errore più grave che si possa fare". Ricordo che mi faceva leggere i giornali, c'era una violenza, non trovo altra parola: è drogata, è lolita, è la puttana bambina, è l'icona per i pedofili eccetera eccetera.
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La cosa che divertiva Gianni Boncompagni è che io in video sembravo così cinica, così pronta, e poi magari mi beccava in lacrime perché mi avevano sequestrato il motorino e non sapevo come dirlo a mia mamma. Ma io non ho mai ceduto al mischiare tutto, quando andavo via di lì la mia vita era un'altra cosa.
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Non mi sentivo una star quando me lo dicevano, o un'incapace quando me lo dicevano. Non ci sono mai cascata, forse per il basso livello di autostima.
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Quello che è venuto dopo il mio esordio, i disturbi alimentari, l'esperienza che ho attraversato, era forse dovuto al fatto che mi si chiedeva di mantenere un livello che io probabilmente di mio non avevo. Quella sicurezza che sembrava, non c'era.
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Io non mi sento per niente vittima, ho tentato di cavalcare tutte le emozioni che mi ha portato la fama iniziale.
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Mi è capitato mille volte di essere descritta per filo e per segno da gente che non sapeva nemmeno cosa mi passava per la testa.
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Una volta feci un esperimento di teatro off, così, senza troppe pretese, perché quando hai sedici anni ti butti, te lo chiedono, forse anche perché il tuo nome fa pop... La prima di questo spettacolo teatrale saltò per motivi di maltempo, e il giorno dopo uscì una critica ferocissima: ... "Entra sul palco con la sua voce da oca...". Ma io su quel palco non c'ero mai salita. E allora ti svegli alla mattina e dici: bene, allora vale tutto! Non posso misurare la mia vita, i miei progressi, la mia carriera, sul giudizio di questi qui.
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