Aforismi George Berkeley

George Berkeley

George Berkeley è stato un filosofo, teologo e vescovo irlandese, uno dei tre grandi empiristi britannici assieme a John Locke e David Hume.

Data di nascita: 12 marzo 1685, Kilkenny

Data di morte: 14 gennaio 1753, Oxford

Libri George Berkeley

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  Prima solleviamo la polvere e poi ci lamentiamo che non riusciamo vedere.
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  La verità è il pianto di tutti, ma il gioco di pochi.
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  Chi dice che non c'è cosa buona come un uomo onesto, si può essere sicuri che è lui stesso un furfante.
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  Gli stessi principi che a prima vista portano allo scetticismo, perseguendo oltre, ad un certo punto, riportano l'uomo al senso comune.
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  Una mente che riflette in libertà sulle proprie osservazioni, se non produce nulla di utile al mondo, non di rado fallisce di intrattenere se stessa.
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  Dal mio proprio esistere e dalla dipendenza che trovo in me e nelle mie idee, con un atto della ragione necessariamente deduco l'esistenza di un Dio e di tutte le cose create nella mente di Dio.
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  Si può parlare, scrivere e lottare per la libertà, ma solo il libero pensatore è veramente libero.
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  L'inferno e la punizione eterna sono la cosa più assurda e il pensiero più sgradevole che siano mai entrati nella testa di un uomo mortale.
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  Va osservato che il numero non è qualcosa di fisso e determinato, che esista realiter nelle cose. Esso è esclusivamente una creatura dello spirito. Così accade che risultino: una finestra = 1; una casa, in cui vi siano molte finestre, = 1; una città, formata da molte case, sempre = 1.
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  Che cos’è la mente? Non importa. Che cosa è la materia? Non te ne curare.
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  Ogni qualvolta che tento di formulare una semplice idea di tempo, astratto dalla successione delle idee nella mia mente, che scorre in modo uniforme, ed è partecipato da tutti gli esseri, mi ritrovo perduto in difficoltà inestricabili.
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  Tutto il coro del cielo e della terra – in una parola, tutti quei corpi che compongono il quadro del mondo – non hanno alcuna sussistenza senza una mente.
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  Certamente chi riesce a comprendere una flussione seconda o terza non credo proprio possa avere alcunché da dire nelle proposizioni sulla divinità.
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  E cosa sono queste flussioni? Le velocità di incrementi evanescenti? Non sono né quantità finite, né quantità infinitamente piccole, ma nemmeno un nulla. Non potremmo chiamarle fantasmi di quantità defunte?
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  Nulla è più semplice che tirare fuori espressioni e notazioni per flussioni e infinitesimali... ma se rimuoviamo il velo e guardiamo dietro, se, lasciando da parte le espressioni, ci mettiamo attentamente a considerare le cose stesse che si suppone siano da esse espresse o contrassegnate, scopriremo il vuoto, il buio e la confusione; anzi, se non mi sbaglio, impossibilità e contraddizioni dirette.
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  Il 17 aprile 1717 con molta difficoltà giunsi sulla cima del Vesuvio. Da lì vidi una vasta cavità, piena di un fumo che mi impediva di vederne il fondo e la forma. Da questa voragine uscivano suoni straordinari, che sembravano provenire dalle viscere della montagna. Erano mormorii, singhiozzi, muggiti, scuotimenti, come onde in tempesta; e di tanto in tanto uno strepito simile a un tuono o a un cannone, accompagnato da un rumore di cocci infranti, come quello che fanno le tegole quando cadono dai tetti sulla strada. Qualche volta il vento rendeva il fumo meno denso e lasciava intravedere una fiamma rossastra e le pareti del cratere, striate di rosso e di molte gradazioni di giallo.
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